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La catena degli errori

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La cosa originale dell’articolo di Elena Dusi pubblicato su Repubblica non è laver dato una notizia (il mancato riscaldamento.. in barba ai modelli) infondata, ma il fatto che sia stato ripreso da altri giornali con risultati piuttosto divertenti. Analizzare quanto successo fa capire come funziona un certo tipo di informazione, e perché i giornali più seri non dovrebberosparare” bufale nei titoli in prima pagina.

 

Il quotidiano Libero è partito da quanto scritto su Repubblica in un misurato articolo intitolato “Il riscaldamento globale non cè, ma ci è già costato 300 miliardi”, firmato da Maurizio Stefanini e pubblicato l’11 aprile.
A differenza dell’articolo di Dusi, si tratta di un articolo negazionista, che sostiene l’inesistenza del problema climatico e l’inutilità di occuparsene. L’occhiello“Ambientalisti smentiti” sembra voler confinare il riconoscimento del riscaldamento globale in corso a qualche associazione ambientalista, mentre l’esistenza e la gravità di questo problema è stato accettato non solo da tutte le organizzazioni scientifiche, ma dal G8 e da tutti i paesi del mondo in centinaia di documenti, dalla Convenzione ONU sul Clima (nel 1992!) al “Doha Gateway” (2012).
Nel testo di Stefanini, la cosa singolare è innanzitutto il senso di inferiorità che fa

trasparire, in quanto cita un quotidiano concorrente come fonte autorevole, “ufficiale”, come se fosse necessario distinguerla dalle fonti abituali di Libero, implicitamente meno autorevoli.
Per buona parte, il giornalista si occupa dei costi delle azioni per contrastare il riscaldamento globale; discute di improbabili numeri sui “costi del protocollo di Kyoto fino al 2100”, che avrebbero come fonte lo statistico danese Bjorn Lomborg, che di errori gravi nei suoi scritti sul cambiamenti climatici ne ha già fatti parecchi (si veda al riguardo la mia analisi in “A qualcuno piace caldo” – qui). Senza entrare nel merito, basti dire che non esiste un “protocollo di Kyoto fino al 2100”, ma c’è stato un primo periodo di impegni per il 2008-2012 e gli impegni per il secondo periodo 2013-2020 sono tutt’ora oggetto di trattativa.
Da notare infine il titolo, che mette in discussione l’esistenza stessa del riscaldamento globale, risultato di un progressiva catena di errori: si è partiti dal “rallentamento” del riscaldamento globale nel titolo dell’articolo su Nature Climate Change (7 aprile), passando per il presunto mistero della “Terra che non si surriscalda più” (10 aprile) e si arriva a “Il riscaldamento globale non c’è” (11 aprile).

 

L’infortunio di Repubblica non poteva non essere ripreso dal Foglio, altro quotidiano negazionista sul clima e non solo, con un lunghissimo articolo del solito Piero Vietti intitolato “La catastrofe può attendere”. Nel mondo in cui vive Vietti, sembrano tutti convinti che la tesi del riscaldamento globale sia crollata. Si tratta di un mondo molto piccolo, popolato dai soliti noti: ancora, Bjorn Lomborg, che sembra l’unico meritevole di essere citato quando si parla di economia dei cambiamenti climatici, il “climatologo di fama mondiale Franco Prodi”, il meteorologo Guido Guidi e l’“agro meteorologo e meteoclimatologo” Luigi Mariani.
A quest’ultimo viene lasciato più spazio per esporre opinioni che si rivelano piuttosto azzardate, come la seguente: “Bisognerebbe essere daccordo sui dati. Poi si può dare linterpretazione che si vuole, ma almeno sui dati dovremmo essere daccordo. I dati sono quelli per cui dal 1998 le temperature sono stazionarie”. Ora, dire che dal 1998 le temperature sono stazionarie è già un’interpretazione dei dati. La cosa su cui dobbiamo essere d’accordo è che se si scaricano i dati delle temperature medie (ad esempio i dati GISS, dal 1998 al 2012, da qui) si ottengono le seguenti anomalie rispetto alla temperatura media 1951-1980, in centigradi: 0,61, 0,4, 0,41, 0,53, 0,62, 0,6, 0,52, 0,66, 0,59, 0,62, 0,49, 0,59, 0,66, 0,55, 0,56.
L’interpretazione più facile, che ormai sanno fare anche nelle scuole superiori, è ad esempio quella di trovare la tendenza dei dati, tramite una regressione lineare degli stessi e vedere la pendenza della retta risultante. Si ottiene il grafico a fianco, in cui la pendenza positiva, indica non la stazionarietà ma una tendenza al riscaldamento (seppure con una grande variabilità, come già discusso).
Un’interpretazione più corretta consiste nel calcolare la significatività del trend. Come già detto la cosa ha poco senso su soli 15 anni, in quanto per valutare una tendenza climatica serve un periodo più lungo. In ogni caso, se si usano i dati GISS e il test F ad un livello di significatività 0.05 0.2 , si ottiene una regressione statisticamente significativa.
Non solo Mariani tenta di spacciare per “dati su cui tutti dovremmo essere daccordo” una sua interpretazione, ma questa è pure sbagliata.
La cosa più divertente è comunque il finale dell’articolo di Vietti, in cui si vede a quale livello di patetico complottismo sia ormai confinato il discorso negazionista sul clima: “Nel 1998 la rivista scientifica Nature pubblicò uno studio che attribuiva il riscaldamento artico allattività umana. Il professor Mariani con alcuni colleghi, applicando un modello diverso, ottenne risultati molto diversi. Spedì a Nature il suo studio, che passò la revisione diarbitriterzi. Il direttore di Nature non pubblicò lo studio:Il pubblico non potrebbe capirespiegò a MarianiE comunque la nostra linea è unaltra”.
Per quanto conosciamo delle riviste scientifiche, questo racconto sembra davvero poco credibile: prima di crederci vorremmo vedere lo studio “alternativo”, la peer review che ne raccomandava la pubblicazione e la lettera del direttore di Nature.

 

Testo di Stefano Caserini, con il contributo di Sylvie Coyaud


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